Dal CATALOGO :Claudio Marini Dipinti 1976-1991
Programma Arte e Cultura 1991-1992
Palazzo Rondanini Alla Rotonda - Roma
ENRICO CRISPOLTI Maggio '86
Può risultare agevole aderire immediatamente all'entusiasmo che muove il
lirismo panico della pittura di Claudio Marini. Più problematico risulta invece
interrogarsi sulle motivazioni più intime e personali di quel lirismo, che
comunque è evidentemente tale, non v'è dubbio, ed è di carattere
partecipativo‑effusivo, e di natura evocativo‑sentimentale. Ma in quali termini,
precisamente, e cioè individualmente? Anzitutto nel far pittura di Marini, e più che
mai nella sua pittura degli ultimi anni di grande respiro di effusività spaziale, è
evidente una fiducia esistenziale totale nella positiva «tentazione inderogabile di
identificare il gesto rituale della pittura, come presa di possesso sulla realtà»: lo
ha confessato Marini stesso in un suo appunto di lavoro credo in occasione della
Biennale veneziana del 1982. Un totale coinvolgiento nell'atto del dipingere quale
momento di maggiore intensità dell'esistere, anzi direi esattamente proprio dell'
" existere ", cioè del trarsi fuori, del sortire in qualche modo dal quotidiano
assorbente orizzontalmente, in una verità invece emotiva, di remoto fondamento
antropologico, quale perennità del vissuto più vero, oltre l'orizzontalità della
storia, e proprio come t<tentativo estremo di sottrarre un'immagine al quotidiano,
di dirottarla nel verticale, contro la prosaicità del presente»: ancora si può
leggere in quell'appunto di Marini. Ma quale immagine, in una pittura che non ha
immagini se non di gestualità panicamente integrata? Proprio l'immagine di sé,
evidentemente, della propria densità emotiva, irripetibilmente situata, come
momento circoscritto ed unico del vissuto esistenziale, nel suo fondamento più
profondo, attinto in tutta la pienezza della propria vitalità evocativa, memoriale,
nell'immediatezza emotiva dell'epifania di segni e colori che il gesto del
dipingere suscita e afferra subitamente e irripetibilmente. Marini affida insomma
alla tela, alla grande tela, entro la quale s'immerge in una sorta di corpo a corpo
che può ricordarci rapimenti informali, l'estro dì una gestualità vitale, tutta
appunto evocativa ed insieme intensamente emotiva nel suo immediato,
motivata in termini di una sorta di ininterrotta "réverie" di effusività lirica, umorale
quanto memoriale; e ininterrotta non per continuità da tela a tela, quanto per
ricarica in circostanze emotive susseguentisi, ciascuna in sé medesima tuttavia
couclusa. Memoria di che cosa? Naturalmente dell'universo del proprio vissuto
sensibilmente, umoralmente dispiegato, e inteso in una verticalità di rimandi, di
fantomatici affioramenti allusivi, di continue sorprese rivelatorie e referenziali.
Memoria delle proprie emozioni liricamente decantate nella molteplicità degli
echi e degli aloni d'ambiguità, ma al tempo stesso anche riattualizzate nella
densità immediata del gesto pittorico che le evoca e rende partecipabili ìn tutta
la loro avvolgente vitalità.Il colore è determinante del configurarsi di quel gesto
pittorico, ne è il mezzo rivelatorio, non soltanto costituendo il segno e definendo
anzi, e soprattutto, la trama del respiro misterioso della spazialità, ma agget
tivando questa e quello in tutti i loro caratterizzanti particolari aspetti di capacità
evocativa nell'effusione lirica appunto umorale quanto memoriale.Quella di Marini
è in effetti una pittura di puro colore, di larghi pensieri spaziali costituiti in termini,
ora almeno, essenzialmente cromatici. Il colore come mezzo vitale del flusso
emozionale‑evocativo di quell’”esistere”, insomma, per Marini, e il colore
insegue infatti, nel suo fare pittura, la pulsione interiore dell'emotività evocativa,
e la manifesta. Quella pulsione cioè rende il colore leggibile e a suo modo or
dinato in compiuta significazione. «Il mio lavoro, partorito sotto il segno del
desiderio che è sempre inconciliabile con la determinatezza del reale, si
appoggia al pulsare interiore, che ancora una volta dà il ritmo. E’ l'onda emotiva
che arrivando si infrange con una intensità maggiore, con una tensione altissima,
esplodendo i battiti che bisogna incanalare affinché non rimangano allo stato di
puro caos»: leggo ancora nella lucida confessione di quell'appunto di lavoro dì
Marini.