MARINI OTTO E MEZZO
Gianluca Marziani
Dopo oltre vent'anni di sfide corpo a corpo col quadro, Claudio Marini rilegge la
propria avventura per aprirsi ad un consono futuro. Della sua carriera è pro-
verbiale, tra chi lo conosce, il volontario isolamento nello studio di Velletri.
L’artista ha rifiutato occasioni giuste e fatto scelte difficili, pagandone
le conseguenze ma anche vincendo sul piano della radicale coerenza.
Nel 1982 andò in Biennale veneziana e raccolse meritati consensi. Nel 1977
ideò i primi "cascami" per una pittura di generosa metafora contro la violenza.
Fu un modo energico di affrontare i disagi sociali dentro un modello informale.
Da quel momento Marini ha dipinto lungo un ventennio di infuocata tensione
espressiva. Durante gli anni Ottanta ha raccolto spunti e coltivato la propria
solitudine. Poi, dal 1992, ecco la maturità di una convinzione ormai raggiunta.
Serie dopo serie si arriva al 1997, quando risbucano i "cascami" ma senza futili
nostalgie. Vent'anni separano la scoperta di quelle matasse in cotone dal loro
recente recupero. Rimetterle sul quadro significò completare un discorso che
aspettava il suo miglior epilogo.
E poi hanno,condotto l'ingegno creativo verso le "guaine", gli "smalti" e la prima
"bandiera" di un prossimo ciclo. Segno precoce del futuro che è già sfida
presente.
MARINI MEZZO (1 /2): BANDIERE
Di seguito procederò lungo otto tappe che racchiudono gli anni Novanta di Mari
ni. Partiamo però dalla copertina, dove spunta l'ultimo quadro finora realizzato.
Nasce in concomitanza con gli "smalti" di cui vi parlerò. E' una bandiera anche
se nuIla lo dice con evidenze pop alla Jasper Johns. In realtà tornano lo spessore
della materia e alcune bruciature, l'intensità del rosso, il bianco dei fondali e due
incorniciature di blu notturno. L'opera riafferma la natura informale dell'autore e
agisce per assonanze di gesti sullo superficie. Ma i tre colori sono gli stessi della
bandiera americana, simbolo e metafora di una guerra che ci affligge in un
epilogo millenaristico dei più indegni. Quelle bruciature sembrano vive e gridano
per farsi captare da chi ascolta oltre le orecchie. Il quadro lo volevamo come
apertura di un percorso che si chiude qui, momentaneamente. Con l'idea di
ripartire, domani, dalla forma stessa della bandiera, rettangolo culturale attorno a
cui si condensano storie e dignità, malaffare e passioni, agonismo e violenza.
Contro le violenze ha agito Marini attraverso una pittura avvincente, radicale nel
porsi fuori da ogni moda ma dentro la verità dell'animo. Ammettiamolo: fare
scelte difficili significa, a volte, subire il peso dell'ignoranza altrui, almeno nei
tempi brevi dell'attualità. Poi, però, ci si avvicina ad una verità attraverso il
rispetto per la memoria riabilitata. Così accade agli artisti che hanno schivato le
tendenze in voga per difendere un'idea. Così mi auguro accada a Claudio
Marini: uno dei "più critici con se stesso" che io conosca ma anche il "più se
stesso contro qualsiasi critico".
MARINI UNO (1): SHOPPING
Nel 1993 viene presentato alla galleria Romberg di Latina il ciclo "Shopping
”sono tele in cui frammenti di buste sbucano da stesure di cemento. L’artista ha
raccolto tali contenitori da una miriade di negozi, duty free, mercati e magazzini.
Ogni plastica rappresenta un paese, una lingua, una storia e un tipo di oggetto.
Alcune hanno grafiche più geometriche o molti colori, altre disegni da fumetto o
grandi fotografie, altre ancora caratteri tipografici o immagini in primo piano.
Disposte sulle tele diventano il colore che taglia l'impasto di cemento. Tendono
ad occupare una posizione centrale ma Iasciano maggiore spazio al cemento:
Le bruciature hanno una personalità che emerge dal bianco e apre mille pensieri
a chi le guarda. Sono pubblicità con una storia per ogni mano che le trasporta.
Noi le spostiamo e diventiamo i cartelloni mobili di un marketing che ci vede
protagonisti involontari. Vivono I'attualità eppure mutano in qualcosa di assoluto
che si astrae da spazio e tempo. Quel sapiente mescolamento con la materia la
rende una formula per roccontare il mondo senza farne più parte. La pittura
abbraccia le buste per vincolarle al concetto assoluto del quadro. Ma per
arrivare a tanto ci voleva una forza compositiva che la differenziasse dal
collagismo. Marini ha capito la natura iconografica delle buste e le ha trattate
come puro colore.Talvolta appaiono con una stesura quadrata e rigorosa,
fedele alla plastica senza pieghe. Altre volte le vediamo stropicciate, in singoli
pezzi. Può sbucare una parola, il Iogo con del colore attorno, dettagli del marchio
o l'intera busta coi manici. L’importante resta mantenere l'energia e dare spazio
ai pensieri del fruitore. In uno dei quadri spunta anche una carta di credito
American Express. Appare, non o caso, una sola volta, proprio perché riassume
il concetto stesso delle buste coi loro rimandi materiali. Le plastiche indicano le
merci che ognuno acquista per usi e abusi di varia natura. Riguardano la nostra
vita nel suo aspetto più normale. Ci segnalano le passioni, gli amori, le simpatie
per oggetti su cui investiamo il tempo, esperienza e denaro.Ma per avere le cose
servono i soldi, spietata eppure democratica sintesi di un legame tra lavoro e
profitto. Il denaro, insomma, aggancia il progetto di una vita umana ai contesti
della società avanzata. la carta di credito sintetizza il concetto dei soldi in una
forma non tangibile eppure reale. A suo modo il pensiero pittorico di Marini
assomiglia a quello della carta di credito: sintetizzare su tela le storie invisibili
degli oggetti che deteniamo. Si racconta la vita attraverso l’involucro che
protegge il trasporto delle nostre cose. PrevaIe il simbolo,il logo indiretto, l’ icona
che è la pura proiezione degli oggetti. Buste come ombra trasportabile delle
cose, segnale di viaggio o di passaggio dal negozio olla casa. E oggi eccole
svuotate ma diverse, rivivere con la pittura di Marini. Improvvisamente diventano
materia e colore per tuffarsi in un viaggio dello sguardo vagabondo.
MARINI DUE (2): SHOPPING ‑ ZAPPING
Per proseguire l'idea di "Shopping" nasce in Marini un pensiero: quello di rac
chiudere le plastiche dentro un formato identico per l'intera serie. E allora arrivo,
sempre nel 1993, lo sequenza in venti pezzi 60x60 di "Zapping". La forma
quadrata rende il supporto una specie di monitor che registra la frammenterietà
del mondo. Il rigore del quadrato tornerà spesso in Marini, offrendo esiti
appassionanti del suo talento. Una precisione in cui le buste diventano la
geometria interna, il cuore vivo dentro l'organismo della struttura. Tali plastiche
fondano lo loro natura iconografica con la materialità del nostro vivere. Sulla
superficie, come dicevamo prima, si mutano in materia pittorica di fascinosa
armonia. Ora però, l'autore aggiunge al cemento le prime scaglie di acrilico e il
legno prende il posto della tela. Le buste conservano la centralità ma hanno
maggior spazio scenico. E mentre invadono lo superficie ecco che il colore ne
sottolinea lo presenza con una linea, alcuni incorniciamenti o con spicchi di
acrilico. I minimi inserti cromatici dimostrano l'istinto di Marini per il
bilanciamento dei pesi sul quadro. Una banda rossa in basso, una linea azzurra
in alto,una piccola cornice in giallo che racchiude la plastica,un angolo riempito
di rosso: ogni scelta appare sempre necessaria, come se fosse l'unica per
regolare la perfezione architettonica. Nel riguardare l'arco creativo dell'artista
non posso che paragonarlo, rispettando distanze e sfioramenti, ai grandi "con
trollori del caos". Penso ad Alberto Burri col suo modo di bilanciare le bruciature
della plastica o i perimetri di tela grezza. Penso a Robert Rauschenberg che
usava oggetti riciclati per renderli membrane di uno scheletro senza parti
superflue. O anche a Jim Dine che inseriva singoli oggetti sul quadro e li fondeva
con una pittura monocroma. Bei riferimenti di cui è oggi consapevole Marini.
Non ho dubbi che lo renderanno felice nel vederne ribadito il legame. Mi preme
relazionare l’arte di un talento solitario ad alcuni referenti che ipotizzano il
massimo in quel percorso. L’autore ha capito fin da giovane il loro valore ma non
ha agito per imitazione. Quel che percepiva nel profondo lo metteva sui quadri e
la coerenza odierna (il rispetto verso lo "memoria riabilitata" di cui parlavo prima)
emerge per l'istintiva fedeltà a se stesso. Solo a distanza, di fatto, può nascere
un equo roffronto con gli apici di ieri. E Marini di quel passato si sente
consapevole, momento per momento. Conosce le difficoltà odierne dell'arte
astratta ma ha la necessità di agire tra concretezza e astrazione. La sua arte
cammina in un labirinto di specchi: dove danzando si riflettono le tue opere con
quelle di altri, ma dove la strada che cerchi è sempre davanti ai tuoi occhi. Solo
alcuni, certo, riescono ad uscire da quel labirinto. Ma già il fatto di entrarci divide
tra chi l'arte la detiene per natura e chi vorrebbe conquistarla.
MARINI TRE (3): SHOPPING ‑ BUSTE
Includiamo sotto 'Buste" un momento che ribadisce le precedenti pagine. Le
opere sono cinque, tutte rettangolari e di formati diversi. Nascono sempre nel
'93 ma proseguono le prime ricerche di "Shopping”. Ora le plastiche si
espandono sul legno e saturano una superficie maggiore. Rispetto al primo ciclo
emergono dal cemento con forza amplificata. A chiarirlo è il pezzo dove listelle di
buste coprono l’intera superficie. Altri due pezzi, inoltre, individuano il legame
con l’ecosistema e i problemi del territorio inquinato. In uno compare la busta con
la scritta "cielo" tra le nuvole in (alto) e la plastica con la parola “acqua” (in
basso). Nell’altro ricordo un paesaggio naturale a cui è sovrapposta la plastica
che dice ”"think green"”: L’arte di Marini, come qualsiasi arte, non aiuta a risolvere
materialmente i problemi. Al contrario, quando il talento capisce i contenuti, la
creatività può sintetizzare un pensiero forte sulle cose reali. La propensione
dell’autore, in tal senso, rimane imparziale rispetto alle forme consumistiche. Le
buste racchiudono valori relativi e l’artista lo dimostra con rispetto e lucidità. Non
si parli del consumismo come di un male assoluto poiché saremmo bigotti. Al
contempo, abbiamo il dovere di valutare gli aspetti negativi e quelli positivi. I
quadri non disprezzano le buste ma ci ricordano che le merci possono
dimenticare il rispetto per la vita, la natura del mondo e la vera bellezza. I lavori
mantengono vivo i legami con la natura senza privare l’opera dei connotati
iconografici. Pensiamo ai "Cascami" del '77, fatti quando il mercato imponeva
un'arte di simboli alchemici, oggetti installativi e parole, senza però alcuna
passione per la superficie pittorica. Marini appartiene a quelle ipotesi di
pensiero ma con risultati diversi ( sia chiaro: non migliori o peggiori bensì
“diversi”). Le ambizioni morali erano vicine a Mario Merz, Luciano Fabro o
Gilberto Zorio. I termini formali differivano poiché non combaciavano le valenze
estetiche. Marini considerava l’ideologia barcollante di una società al crocevia.
Ne prendeva atto senza dimenticare la pregnanza morale che solo la Pittura ha
ricoperto nei secoli. I “cascami” nacquero attraverso la coscienza di un anno
difficile (1977), insanguinato da brutte vicende sociali: Gli stessi anni Novanta
rappresentano il viaggio nei temi fondamentali del vivere. L’artista registra le
cose che catturano la sua attenzione. Le manipola ma non ne snatura l’identità.
Le buste restano tali e lo si capisce anche in mezzo al cemento.Gli oggetti di
consumo, non essendo positivi o negativi in partenza, vengono rispettati e
lasciati alle risposte del fruitore. Solo le violenze lampanti impongono a Marini
una diversa posizione. Nel caso della Guerra ce ne parla con gli "smalti"senza
mezze misure. La affronta con la metafora del colore ma non abbiamo dubbi sul
giudizio morale. Quando giunge l’evidenza del male bisogna prendere posizione
senza remore. Vale per l’arte ma, soprattutto per la vita sociale di cui siamo
sempre protagonisti. E’ una questione di salvaguardia dell’Uomo: per resistere
bisogna scegliere.
QUATTRO (4): SHOPPING ‑ TOVAGLIE
Alcune tovaglie in plastica già comparvero lungo la seconda fase dell'autore.
Ora però riguardano la concertazione di un'ipotesi monotematica. Marini ha
trascorso diversi mesi per raccogliere centinaia di tovaglie in plastica, fino a
sceglierne alcune per la loro perfezione stilistica. Siamo ancora nel '93 e la
coerenza non ha bisogno di parole. Si ribadiscono la convinzione per il
riciclaggio e la capacità di bilanciare l'architettura formale.. I quadri portano al
punto massimo la sintesi tra il disordine naturale del cemento e l'ordine ico-
nografico delle plastiche. Il cemento e gli acrilici rappresentano la vera natura di
Marini la sua carica di artista che sfida il quadro. Sembrerà pura retorica ma
certi autori non hanno un rapporto amichevole con l'opera. La superficie linda
diventa il campo di una battaglia con vincitori e vinti: dove l'artista può trovarsi
sconfitto dol sopravvento creativo; o dove riesce o dominarsi per controllare i
materiali del quotidiano. Le stesure del cemento e la distribuzione del colore
sentono il gesto impellente e muscolare, invadono le superfici come montagne
che crescono su pianure silenti. La magia avviene quando le materie dure si
comprimono dentro il quadro. Riuscendo a mantenere l'energia in uno spazio
ridotto che, però, si carica della forza necessaria. Nel mezzo dei cementi
sbucano alcune tovaglie in plastica dagli stili diversi. Hanno temi floreali o
geometrie lineari, motivi a quadretti o figurativi. Belle per propria natura ma rese
pura pittura involontaria. Bilanciate dentro cementi e acrilici, vitalizzate nel campo
di forza che la gestualità costruisce attorno alla plastica. E poi sottolineano altri
due punti: il cemento come sintesi della "costruzione” e le tovaglie quale sintesi
del "mangiare". Il costruire assume un rapporto forte con la natura primitiva di
Marini. Cemento significa abitazione, luogo di rifugio che corre dalla capanna in
mattoni al palazzo metropolitano. Per l’autore la “'casa" appartiene alla natura
incontaminata delle relazioni umane e inquadra un altro archetipo (gli altri, visti
lungo gli otto cicli e mezzo, vanno dal Lavoro al cibo, dagli oggetti al denaro,
dalla natura alla ricerca di pace). Temi su cui l’artista, serie dopo serie, ha
insistito tramite oggetti e tanta pittura cruda. Le tovaglie sintetizzano, invece,
“l’alimentazione" e il "cibo”. Riducono all’osso un fatto universale, così come la
carta di credito esemplificava il rapporto lavoro-denaro. Tra le qualità di Marini
c'è proprio lo semplicità apparente con cui affronta i temi universali. I quadri sono
solide metafore ma gli elementi scelti vanno subito a ciò che si intende dire. La
tovaglia porta al cibo, le buste alle merci, la carta di credito al denaro, i cascami
alla fatica del lavoro. Rapporti sempre diretti tra un momento che riguarda tutti
noi e l'oggetto vivo che ne rappresenta contenuto.
MARINI CINQUE (5): SHOPPING ‑ CASSONETTI
Il miglior epilogo per “Shopping” ? Meglio dei “Cassonetti” non si poteva fare
nulla. Si tratta di trenta pezzi 60x60, nati tra la fine del '93 e il '94. Come dice il
titolo le opere sono strutture a scatola, precisamente in legno verniciato con
chiusura frontale a vetro. Consideriamole dei nuovi monitor che, ripartendo da
“Zapping”, spingono a fondo sulla metabolizzazione di oggetti e materiali. Lo
schermo 60x60 mette a fuoco immagini miste di uno sguardo morale sul
quotidiano. Marini conosce bene il proprio occhio indagatorio e ne fa buon uso
dentro il suo istinto pittorico. Agisce da detective della civiltà in cerca di reperti
utili. Ma i suoi prelievi non vogliono risolvere casi insoluti visto che i temi
universali già offrono le vie per migliorare o peggiorare. Al contrario, desiderano
aprire domande su cui ognuno, incidendo la propria risposta, opta per strade
giuste o sbagliate. L’artista ci stimola a ripensare il mondo e i suoi scarti, le
nostre posizioni consolidate e il modo di renderci utili.
Dentro i cassonetti ci stanno gli acrilici, il cemento, le buste, le tovaglie ma
anche targhe,guanti da cucina, tubetti, lettere adesive… Quanto finora descritto
si addiziona dentro la compressione immobile della scatola asettica: I materiali
vanno sottovuoto e il silenzio ne avvolge significati e rimandi morali. Anche la
pittura entra nei box per mantenere le cose ben compresse tra loro. Acrilici e
cementi diventano il vero collante che blocca oggetti altrimenti degradabili. Il
potere pittorico si mescola on la curiosità ossessiva che Marini riserva agli
scarti. Fin dai “Cascami” l’artista si intrufola nei depositi e magazzini, nelle
discariche ma anche tra vicoli, campi, parcheggi, case diroccate. L’unico limite
diventa il tempo disponibile e la volontà di non allontanarsi a lungo dalla propria
realtà geografica. Da anni, prima che il trash diventasse fenomeno da
copertina, l’artista di Velletri adora gli oggetti tristi, abbandonati al loro destino
cimiteriale. Se li porta via per iniettargli di nuovo il sangue del colore e
l’ossigeno del quadro: nello spulciare tra le migliaia di cose gettate via, ora per
noncuranza ora per consumazione del prodotto, Marini sceglie solo oggetti
particolari. Devono dimostrare un’anima anche quando dormono nel disagio
dell’immondizia. Una targa che lascia un segno forte perché vieta la caccia, la
pesca o lo scarico; una bomboletta come marchio della fantasia creativa; un
pallottoliere perché parla di infanzia e natura umana; le buste per quanto già
detto finora; una targa con la parola Roma, città che non torna casualmente
nell’arte…E poi, fateci caso, l’autore sceglie gli involucri, i contenitori e quanto si
aggiunge alle cose per completarle. La busta ormai svuotata, le bombolette
esaurite, le targhe che danno identità ai veicoli, le lettere che non scrivono più
nulla, le guaine senza i fili che vi scorrevano dentro. I contenitori e gli oggetti di
completamento riaffermano la propria autonomia. A che perché non ci sono
dubbi: per “contenere” e “ completare” bisogna “esistere” veramente.
MARINI SEI (6): CASCAMI
Chiuso il lungo ciclo di "Shopping" tornano, dopo vent'anni, i fatidici
"Cascami" coi mille colori. Come già detto nel catalogo per la personale del '97
(Romberg);
le matasse in cotone sono oggetti della cruda vita lavorativa. Vengono usate dai
meccanici delle stazioni per pulirsi le mani dopo aver lavorato ai treni. Marini ha
prelevato intere sacche dai depositi per poi farne il proprio acrilico naturale.
Tratta la loro consistenza come materia plasmabile secondo forme morbide,
allungate, spesse, sottili. Diventano ingrediente pittorico al pari delle buste e
ribadiscono uno coerenza che precede lo stesso ciclo di "Shopping". Spiego
meglio e torno al discorso sul tema lavoro-profitto‑merci. Abbiamo detto quanto
le plastiche siano metafora e specchio di merci, oggetti e storie personali. La
carta di credito ha poi chiuso lo questione sul rapporto tra merci e denaro. Ma
prima di tutto ciò esiste il "lavorare", matrice naturale che costruisce lo catena
della civiltà. Per Marini i cascami sono la sintesi del “lavoro”. Inteso nel suo stato
primordiale e fisico, come congiungimento di fatica e prova tangibile. Le
matasse in cotone hanno la povertà di materie semplici eppure non nascondono
la bellezza del proprio arcobaleno. Appena usate prendono il colore dello sforzo
umano ma restano belle, cariche di energia viva. Assorbono il lavoro, lo
sintetizzano nella loro forma e si adattano o storie improvvise. Sull'opera si
mescolano col colore e cambiano la connotazione canonica dell'informale. In
qualche modo spiegano tutta l'operazione di Marini: il rapporto con la fisicità
umana, la passione per il riciciclaggio, il trovare la bellezza nei punti impensabili.
Arruffati, sporchi e ordinari, i fili in cotone si inventano ulteriori colori e strani
riflessi. Sono i sopravvissuti ad un sicuro abbandono nell'oceano di rifiuti urbani.
Sarebbe stato un peccato non fissarli nel quadro. L'arte ha bisogno che almeno
una volta si catturi quel qualcosa altrimenti mancante. Basta entrare un momento
nel quadro per incidersi nella memoria culturale. Marini, come molti artisti fissi su
un' idea col fine di saturarIa, ha rievocato le matasse dopo vent’anni. Doveva
finire un discorso iniziato per gioco, come spesso accade nella sperimentazione.
Quei gomitoli spontanei hanno dimostrato di poter agire da grammatica e non
solo in veste di parole scollegate. Si sono tramutati in linguaggio pittorico con
regole e consuetudini, ma anche con le improvvisazioni di una pittura dai gesti
possenti. La storia dei cascami è lo storia delle buste e guaine, degli oggetti e
smalti. Dove il viaggio comincia ogni volta dalla semplice curiosità che porta a
insistere su oggetti o materiali con qualcosa di unico. Proprio così: ogni forma ha
bisogno di racchiudere la pittura nella sua essenza. Le cose non devono
diventare belle ma esserlo per conto loro. Un po' come una ragazza dimessa che
sotto le brutte vesti nasconde luce ed erotismo. Gli oggetti riciclati da Marini
devono respirare per offrirsi, devoti e generosi, od un organismo delle
contaminazioni chiamato Quadro.
MARINI SETTE (7): GUAINE
A ridosso dei "Cascami" nasce una diretta conseguenza di quel ciclo. Accade la
stessa cosa che dalle buste portò alle tovaglie. Ora, però, dalle matasse in
cotone si passa a nuove architetture lungo la superficie. Restano alcuni cascami
ma diminuisce il loro peso sul quadro. Comincia ad avanzare una pittura oscura,
costruita con acrilici pesanti sul materiale organico delle guaine. Sono cinque i
pezzi del ciclo, tutti prodotti nel '98 su formato 150x 150. Se le tovaglie furono il
momento di sintesi compositiva durante "Shopping", questi lavori giungono ad
una eccellente soluzione architettonica. Nel catalogo per i nuovi casca-
mi" (Romberg) parlai di Burri. Sottolineai le vicinanze a quel mestro ma anche
l’autonomia con cui Marini ne sviluppò alcuni aspetti. La serie con le guaine
raggiunge una sorprendente perfezione. Burri lo vediamo meglio proprio adesso,
nei rapporti tra campiture di nero, fasce bianche, zone di aperture sulla superficie
in legno. Ma il debito estetico si ribalta quando capiamo il "perché" dei quadri e
il 'dove" collocarli. le cinque opere esistono come sviluppo dei precedenti
“cascami” e come crocevia moturo tra due momenti altrettanto adulti... La serie
cita Burri ma cammina, rispetto al nostro tempo, su altri binari tematici.
Consideriamola la decompressione tra un fuoco e l'altro. Le buste, gli oggetti le
tovaglie e le matasse in cotone parlavano di congiunzioni tra il mondo e il
quadro: le guaine ne ribadiscono i contenuti e si fermano all’ aspetto del Iavoro,
ma mentre i cascami evidenziavano la natura povera e contadina del materiale,
le guaine toccano un fattore tecnologico e una realtà industriale. Dal vocabolario
leggiamo alla voce guaina: "Cucitura che permette di utilizzare un certo spazio
tubolore per il passaggio di cordoni, nastri, elastici, ecc.". In modo generale
leggiamo, sempre dal vocabolario, "Qualsiasi rivestimento o astuccio
interamente aderente olla superficie esterna di un oggetto", la guaina racconta
lo scheletro deII'abitazione, le strutture invisibili della città. E' un involucro che
nasconde la vita meccanica, idraulica, elettrica ed elettronica del mondo
contemporaneo. Se le buste racchiudono oggetti e ne diventano la proiezione
speculare, così le guaine contengono i tanti elementi su cui si reggono le
comunicazioni e i passaggi di informazioni, elementi e idee. Un viaggio nei
mondi poco visibili, frutto di microtecnologie e misure in millimetri. La guaina
mette così una patina notturna, ma non tragica, agli anni Novanta di Marini. Offre
il momento più oscuro senza rinunciare alla lotta. Ribadisce che la fatica fisica
degli uomini sporca le mani ed entra sotto le unghie. Tutto si ricopre di nero,
come il colore delle profondità, della notte e del mistero. Colore delle caverne
primitive, dei motori a cui i meccanici nelle stazioni lavorano. Colore della
polvere da sparo e del buio dentro le canne dei fucili: Cecità dove matasse di
cotone aprono le porte di un’uscita verso una vita senza tanta retorica, vita del
duro lavoro per inseguire le proprie convinzioni.
MARINI OTTO (8): SMALTI
Ultimo momento, l'ottavo, per precedere di un attimo la bandiera violenta della
copertina. Lo superficie del ciclo è oncora il legno; i cascami rimangono in
campo con le guaine e il cemento, in un quadro ricompare addirittura una targa
come ai tempi dei "Cassonetti". A tutto ciò si somma l'uso di smalti colorati per
questi otto pezzi su legno, misura 160x 140. Insieme rappresentano lo serie del
'99 intitolato, appunto, "Smalti". Sono nati, durante il conflitto del Kosovo, per la
mostra "Writing" (Romberg,1999). Imponenti e accesi, riaffermano come la vera
pittura abbia bisogno di una doppia analisi. Lo stesso testo, capitolo dopo
capitolo, vedrete che agisce su un doppio binario critico. Il primo riguarda la
ricerca formale, in tal caso partita dal '92 con "Shopping". Il secondo, invece, ci
porta al contenuto predominante dell'opera, Qui focalizza il tema della Guerra su
cui l’autore offre un giudizio radicale. Partiamo proprio dal secondo punto,
ribadendo come "Shopping" non prenda netta posizione ma offra interpretazioni
aperte. Coi "Cascami" e gli "Smalti" cambia il nodo del problema. Dove si parla
di violenza non può esserci tolleranza verso posizioni morali ambigue. Mentre
una busta contiene oggetti a cui ognuno dà connotazioni diverse, la Guerra
rispecchia il male e basta. Nega la vita umana e la libertà individuale.
Rappresenta l'opposto di quei valori su cui Marini (come noi) ha creduto. Cibo,
lavoro, oggetti, amore e idee si perdono al solo sibilo della parola "guerra".
Capirete perché i quadri fanno sgorgare un rosso che pulsa come ferita. I tagli
delle guaine o i buchi dentro i cascami sono oro ricoperti da un oceano bollente
di smalti rossi. La pittura diventa dolore in cui l'artista non trova pace ma solo
quiete apparente. Il tema morale tocca qui la sua più profonda semplicità.
Nessuna filosofia con difficili frasi ma soltanto messaggi chiari. Puri come pittura
nata dalla necessità. E a proposito di elementi diretti, chiudiamo sulla ricerca
formale degli otto quadri a smalto. Dentro inglobano gli anni Novanta dell'autore.
Ogni ingrediente dà spazio agli altri, le pressioni di ognuno non invadono le
superfici altrui. Il colore degli smalti si assimila a perfezione coi neri cavernosi
delle guaine. I cascami appaiono come la carne dei liquidi acrilici. Il cemento
diventa l'approdo terrestre delle zone colorate. La pittura si rende metafora
usando la gravità dei gesti, l'armonia delle parti, I'essenzialità e la vicinanza al
mondo reale. Sembra arte astratta, chiamiamola anche informale, selvaggia ed
espressiva, frutto di gesti che vibrano sulle superfici. Eppure è un'arte più
concreta che mai, posta sul limite tra figurazione e astrattismi, dove ogni icona
si tramuta in metafora e dove ogni metafora porta con sé un pezzetto di mondo
reale.